Senza vino, niente civiltà

Apprendo che a Udine è stata introdotta una surreale misura proibizionistica in materia alcolica. Mi pare, a dirla tutta, una scelta del tutto sbagliata per tre ragioni fondamentali, che subito enuncio, soffermandomi sulla terza, dacchè la ritengo la più importante.

Primo punto: il proibizionismo è, storicamente, una misura efficace, e dovrebbe essere ormai un dato acquisito. Alimentata soltanto un’economia parallela, non alla luce del sole. È storia non opinione.

Seconda questione: il Friuli Venezia Giulia trova nel vino una sua risorsa economica fondamentale, e con ottime ragioni, dato il livello eccellente della produzione vinicola che caratterizza la regione. Sicché la misura proibizionistica equivale, né più e né meno, che a farsi gratuitamente del male. Cioè a nuocere alla propria economia. Un po’ come se – ad esempio – la Liguria vietasse il pesto o Roma la carbonara.

La terza questione, come ricordavo, è a mio giudizio la più rilevante: il vino è parte essenziale della nostra civiltà, cosicché proibirne l’uso equivale ad annichilire la nostra storia e la nostra cultura.

Il vino è il prezioso dono del dio Dioniso, il Bacco dei romani. Figlio di Zeus e di Semele, Dioniso rappresenta, con il suo dono, l’incontrollata forza vitale che irrompe nella società, introducendovi un caos creativo: è, a rigore, un disordine produttivo, che gli umani non possono respingere, ma che, al tempo stesso, debbono disciplinare e mantenere il più possibile sotto l’egida della ragione. L’uso smodato che ne fa, ad esempio, Polifemo è segno di barbarie e porta alla perdizione, dacché la ragione viene appannata dalla fruizione eccessiva del dono di Dioniso.

Del resto, il carattere smodato e intemperante di Polifemo fa sistema con la sua mancanza di ospitalità; mancanza che è l’opposto del carattere propriamente dionisiaco, fondato sull’accoglienza dello straniero e, quindi, sulla convivenza con l’altro e, per estensione, con la parte straniera di sé, vale a dire con quella parte inesplorata del proprio io che la potenza misteriosa del vino lascia affiorare.

Ma egualmente pericoloso sarebbe respingere in toto quel dono, precipitando nell’errore opposto rispetto a quello del ciclope ferino. Per l’etica greca, il difetto non meno dell’eccesso è un vizio rispetto al “giusto mezzo” e all’aurea “medietà”.

Sicché non solo chi abusa del vino, ma anche chi se ne astiene è condannato alla perdizione ed è destinato a essere colpito senza pietà dalla Mania inviata dal dio. E, ad esempio, il funesto destino che si abbatte sul sovrano Penteo, il protagonista delle Baccanti di Euripide. Il re, infatti, sceglie di astenersi dall’accogliere il dono di Dioniso non perché non lo apprezzi, ma in quanto teme i suoi effetti eversivi. Ma questa sua scelta improvvida produrrà conseguenze non meno esiziali di quelle generate dall’eccesso in cui precipita il ciclope: Penteo verrà, infine, trovato dalle Baccanti mentre vaga sperduto tra le balze del monte Citerone e sarà ucciso impietosamente.

Il fabula docet che se ne ricava è che il rapporto con Dioniso deve essere calibrato, retto da equilibrio e da misura, a giusta distanza dall’eccesso e dal difetto. Pretendere di rimuovere il vino, con assurde misure proibizionistiche, è una scelta sotto ogni profilo sbagliata.

Avatar photo

Autore / Diego Fusaro

Filosofo, saggista e opinionista italiano.

Cosa stai cercando?